Il Parco Industria Alfa Romeo, così chiamato perché sorge ove si trovava lo stabilimento della casa automobilistica, o parco del Portello più semplicemente, è uno dei punti dove maggiormente ci si rende conto dei cambiamenti architettonici e urbanistici della nuova Milano. Non so quale effetto faccia a chi lo veda senza conoscere la situazione pregressa. In realtà non mi ricordo nemmeno io cosa ci fosse prima. Avrò percorso migliaia di volte viale Alcide De Gasperi ma con la scarsa attenzione che di solito ha il milanese in auto che si sta recando fuori città, magari verso i laghi. Ho vissuto però la fase della realizzazione. In principio fu… il rendering. Quei bei progetti di valenti architetti riportati dai quotidiani e dalle amministrazioni comunali che disegnano il paesaggio con linee decise, qualche fila di alberi e qui e là quelle sagome di persone sorridenti scontornate in photoshop. Sempre le stesse: la donna col passeggino, l’uomo con la ventiquattrore, il bambino in bici, l’anziano sulla panchina. Lo sprovveduto studente che ha realizzato quelle sagome si è evidentemente dimenticato di registrarne i diritti di utilizzo, altrimenti sarebbe oggi miliardario.
Dopo il rendering ho vissuto la fase della realizzazione: come al solito è più facile tirare su un grattacielo che fare un parco, e la collinetta che ne è il centro visivo è rimasta a lungo un unicum, circondata da escavatrici, teli di plastica per isolare il bacino del futuro laghetto, insomma una tristezza infinita che mi ha fatto quasi dimenticare di quest’area. Infatti non ero mai andato a vederla nemmeno dopo la sospirata fine dei lavori.
Decido di farlo così in un assolato pomeriggio di agosto. Il primo impatto è sicuramente positivo: c’è un progetto chiaro in questo nuovo parco, un movimento dato ai percorsi e alle visuali. L’insieme è bello, innovativo ma anche con riferimenti alla storia: rende omaggio all’altra collinetta artificiale di Milano, il Monte Stella. Però… c’è un però. Vedendo bene quest’area, percorrendola secondo i percorsi suggeriti dagli architetti, avverto quella sensazione inquietante di non vedere qualcosa di vero, ma di essere stato proiettato io stesso all’interno del rendering iniziale, quello che vedevo sui giornali. Ci sono in giro pochissime persone e tantissime lucertole: perché gli sparuti alberelli pensati dai progettisti sono ancora rachitici e non sono mai in numero sufficiente per fare una qualche ombra. Guardo bene questi coraggiosi che si avventurano nell’area più assolata di tutta Milano. Sono loro! La mamma col passeggino. I bimbi in bicicletta. L’uomo che va al lavoro. Sono esattamente le sagome del rendering. Sarò anch’io una delle sagome, in questo mondo alla Matrix che è la nostra nuova città? In quale categoria mi avrà inserito lo studente? Giovane milanese con macchina fotografica al collo, che fa molto “città della moda e del design”? Mi arrampico su per i gironi infernali della collinetta/torre di Babele in preda a quest’ansia dell’irrealtà, del sogno (o incubo) ad occhi aperti.
Giunto in cima vedo uno, e un solo, lucchetto legato alla balaustra da due innamorati che recita così: “Viviamo il presente”, con i due immancabili cuoricini. Mi commuovo… anche nel posto più finto di tutta Milano è arrivato l’amore vero. Due studenti si sono arrampicati qui su, magari si sono dati qui il loro primo bacio e hanno deciso di mettere il loro bel lucchettone rovinando il rendering dell’architetto. L’incantesimo è rotto: si sentono in lontananza i giardinieri che saraccano in diverse lingue per la difficile manutenzione di un giardino progettato al pc. Arriva in cima una signora, le chiedo stupito cosa ci fa lì e mi dice che è venuta “a prendere un po’ d’aria”. E’ una vera “sciura” milanese e non una sagoma di photoshop. E così la vita ha vinto sulla finzione. Diventeranno i giardini di Boboli del futuro o saranno ricordati come l’ennesimo flop delle archistar contemporanee? Non lo so e non ho le competenze per giudicare il lavoro altrui. Di sicuro una coppia di amanti si è scambiata qui il suo primo bacio, forse per questo è valso tutto il lavoro.